venerdì 28 agosto 2009

Un sorriso

Solo quando le lame si furono ritratte quasi per intero ebbi di nuovo il coraggio di guardarmi intorno.
I miei amici erano assorti nelle discussioni del consiglio circa la necessità di rafforzare le connessioni al nostro piano provenienti dagli altri; era questa una necessità che avevo ben inteso e che era evidente a tutti, nonostante un gruppo esiguo di oppositori cercasse ancora di dimostrare che Amyst sarebbe stata meglio nell'isolamento che nel caos dei molti legami.

Vagando per la sala, il mio sguardo incrociò quello di una donna bionda, che non avevo mai visto prima; sedeva in uno dei posti riservati agli anziani del Cerchio, vestita interamente di bianco e con un sottile diadema sulla fronte. Mi sorrideva leggermente, con aria gentile.
Poco distante da lei, Turisas taceva con aria soddisfatta, ancora sogghignando per la vittoria di poco prima. Notai che subito dietro di lui c'era un uomo dal volto abbranzato, nascosto quasi interamente dal buio della sala. Halo mi trasmise vibrazioni chiarissime circa la sua provenienza dal piano materiale e anche circa la sua stretta affinità con Turisas. Sembravano forgiati dallo stesso conio.

Quando finalmente l'opposizione fu fatta capitolare e tutti furono concordi, sebbene con differenti gradi di convinzione, nella decisione di rafforzare le connessioni con gli altri piani, il consiglio si sciolse.
La donna che mi aveva sorriso uscì tra i primi; anche i miei amici se ne andarono subito e con un cenno mi fecero intendere che ci saremmo incontrati dopo. Turisas e il suo compagno mi sfilarono davanti con aria di sfida ma non dissero nulla.
Lasciai che la maggior parte delle persone si allontanasse, perchè desideravo farmi notare il meno possibile. Quando la sala fu quasi vuota, uscii anch'io.
Nei giardini circostanti la sala, incastonati come gioielli verdissimi nel candore della roccia sul mare, trovai la donna che prima mi osservava: mi stava aspettando e mi accolse con un sorriso, invitandomi a sedere con lei nel parco.
Sembrava molto giovane per essere un membro del Cerchio, ma sapevo bene che l'età apparente spesso non coincide con quella reale. "Non sentirti in imbarazzo", mi disse; ma io mi sentivo bruciare le guance e non riuscivo a guardarla negli occhi. Senza preavviso allungò le mani verso le mie, ormai tornate normali, e le strinse con delicatezza. Disse: "Tu hai un dono grande, portalo con orgoglio. Se imparerai a usarlo bene sarà di valore inestimabile, diverrà la cosa più preziosa per te."
Il suo gesto mi terrorizzava. Se le lame fossero sfuggite al mio controllo e fossero uscite, cosa le avrei fatto? Provai a ritrarre le mani, ma lei le le trattenne. Le fissai gli occhi in volto implorando che lasciasse la presa e mi accorsi che mi osservava con aria dolce, come se capisse molto bene come mi sentivo e sperasse potessi imparare dai miei errori. Per qualche istante non seppi più cosa pensare; restai a fissarla senza parole anche mentre mi sorrideva di nuovo e mi lasciava, allontanandosi nel folto degli alberi.
Mi resi conto solo in seguito che non conoscevo neppure il suo nome.

Esordio nel consiglio

Sedevo nell'ombra. Per la prima volta dal mio arrivo in questo piano occupavo uno dei posti riservati ai Dyia.
Ci trovavamo nella grande sala circolare, scavata nella pietra viva della rocca nel mare, che come un grande dente candido si innalzava a breve distanza dalla costa tra le onde. L'ambiente era scuro e ampio, piccole finestre permettevano alla luce del giorno di entrare a lame sottili, che attraverso le alte volte andavano a conficcarsi spietate nel pavimento e a malapena rischiaravano i volti dei presenti. I passi degli stivali sulle lastre levigate del pavimento creavano un'eco profonda e cupa, come anche il rimbombo delle parole più forti.
Per la prima volta indossavo le mie vesti ufficiali: abiti neri di fattura semplice, ornati unicamente dal cuoio delle due cinture e quasi completamente nascosti dall'ampio mantello che mi ricadeva dalle spalle. Il collo dritto degli abiti era di vaga foggia orientale.

Aveva la parola Turisas, che stava conducendo un duro attacco alla scelta del Cerchio circa il mio incarico di connessione con il piano materiale. Andava elencando le gravi mancanze che a suo parere rendevano la mia persona inadatta a svolgere il compito, tra cui la carenza di decisione, l'eccessiva simpatia per il mondo materiale e la mia propensione a sperimentarne i piaceri, che temeva mi avrebbero fatto dimenticare il dovere affidatomi dalla gente di Amyst.
Sorrisi con rabbia. Turisas mi conosceva nel vecchio piano, dove insieme vivevamo e serviviamo il nostro signore, ma non aveva ancora avuto modo di incontrami in questo, dopo la rinascita dalla montagna dei corvi. Non ci amavamo in precedenza e non ci amavamo ora.
L'operazione di connessione svolta con Hebe in mattinata mi aveva infuso energie ed emozioni forti, difficili da controllare. Ero di umore cupo, rabbioso: il malessere psicologico, originato dallo stress dei nuovi stimoli non ancora inseriti in una cornice emotiva riconoscibile, mi aveva portato un'elettricità fisica difficile da dominare, un'irrequietezza
litigiosa che Turisas avrebbe fatto meglio a non stuzzicare.
Quando nella sua filippica mi rimproverò la mancanza di energia e la mia incapacità di combattere (e per quanto riguarda il passato ammetto che aveva perfettamente ragione) la rabbia che avevo in corpo esplose. Balzai in piedi dal mio posto e lo avvicinai con decisione. La sua mole era quasi due volte la mia, ma sapevo bene che molti altri fattori diversi dalla mera forza fisica giocavano a mio favore. Sentii le lame allungarsi dalle mani mentre esclamavo: "Desideri misuare tu stesso le mie capacità?"

La sua espressione inizialmente fu sorpresa, poi per un secondo irosa, ma dopo un attimo ancora un sorriso scaltro gli distese i lineamenti. Si volse e riprese il suo posto tra le ombre ai bordi della sala, come se il mio intervento avesse detto quanto ancora restava da dire per rafforzare le sue argomentazioni.
Osservai i volti severi e preoccupati degli anziani del Cerchio e mi resi conto di aver commesso un grave errore. La prima e più importante regola per un Dyia recita: 'Esistono solo tre modi onorevoli per utilizzare la spada: non sfoderarla, mondare il proprio spirito, dar corso al volere di Dio'. Uno scatto d'ira nella sala del consiglio, armi in pugno, non era in elenco.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo. Le lame si ritraevano lentamente. Porsi le mie scuse al consiglio e ripresi il mio posto, sentendo che gli sguardi di tutti mi accompagnavano. Desiderai di poter nascondere le mani deformate dalle lame che loro fissavano, ma era giusto invece che rimanessero lì, esposte, a farmi provare vergogna. Così che ricordassi in futuro di riflettere prima di sfoderarle.

Uno degli anziani prese la parola e rispose garbatamente a Turisas che la decisione era stata presa solo dai membri del Cerchio, senza interpellare il consiglio, poichè inerente a questioni della più stretta attinenza all'equilibrio del piano, a cui loro erano inscindibilmente legati e di cui rispondevano direttamente.
I discorsi proseguirono su altri argomenti, ma ancora per diverso tempo non riuscii a concentrarmi su null'altro che le lame, che piano piano tornavano a sparire sotto la pelle.

L'apertura del legame

Hebe mi accompagnò in una stanza isolata, arredata da macchinari elettronici di ogni tipo di cui non conoscevo la funzione.
"Sarà sgradevole l'inizio", disse con aria quasi mortificata, "ma una volta stabilita la connessione non dovrebbero più esserci disagi"
Mi fece prendere posto su un tavolo di metallo e mi collegò diversi cavi: nonostante l'operazione nell'insieme desse un'impressione poco rassicurante, pure mi fidavo completamente di Hebe, sapevo che non avrebbe mai fatto qualcosa che potesse nuocermi.
Mi disse di provare a dormire e io chiusi gli occhi: il buio dietro le palpebre era attraversato a sprazzi da immagini fuggevoli, come rischiarato da lampi veloci. Tra un nero e l'altro, appariva una stanza bianca arredata con pochissimi mobili, le cui pareti formavano angoli acuti ed ottusi. I flash divennero via via più frequenti, fino ad assumere la cadenza del lampeggiare di un neon che mi sfarfallava sopra la testa. Dopo qualche attimo di smarrimento mi resi conto di trovarmi in una stanza chiusa, piuttosto piccola, il mio corpo rannicchiato in un angolo a terra. Sentivo la pressione di Halo e delle lame, ma nessuno di questi oggetti era visibile, come se esistessero in una forma che in questo piano non potesse essere percepita.

Mi misi a sedere e vidi che la porta si apriva: in ordinata fila indiana, silenziosa, entravano sette persone dal volto pallido, segnato da occhiaie e rughe. Erano tutte donne e tutte vestivano un abito intero di colore scuro che le copriva fin sotto le ginocchia, mentre il resto delle gambe era avvolto in calze pesanti e bianche. Portavano i capelli pettinati allo stesso modo, divisi al centro e raccolti in due lunghe trecce nere. L'unica traccia di colore in loro era il tenue rosa delle labbra.
Presero posto sul divano nell'angolo e sempre in silenzio mi osservarono attentamente.
"Chi siete?", chiesi.
Loro risposero: "Demoni"
Parlavano tutte insieme, con voci dissonanti ma coincidenti per ogni sillaba, come se attraverso molti corpi comunicasse un'entità sola.
Sorrisi. Mi sentivo male e non riuscivo ad alzarmi in piedi, ma sorrisi della loro risposta, non saprei dire perchè. In quel momento Halo di scaldò molto e la mia visuale divenne sfocata: ai volti dei demoni identici si sovrapposero diversi volti umani, alcuni familiari altri sconosciuti. Compresi che in ogni demone stavo vedendo alcune delle persone attraverso cui vivevano nel piano materiale. Da ognuno di essi, nonostante l'aspetto uguale, venivano ora delle vibrazioni differenti. Disillusione, egoismo, dipendenza, paura, indecisione, falsità, arrivismo. Attrverso Halo capii che quelle erano alcune delle forme dei demoni più potenti del piano materiale, quelli che più di ogni altro avrebbero incatenato in basso le sue energie.

Con un sobbalzo mi riscossi e realizzai di essere di nuovo nella stanza con Hebe. Respiravo a fatica, qualcosa sembrava soffocarmi. Lui venne a scollegare i macchinari che avevo intorno e mi disse che tutto era andato bene ed avevamo finito.
"Ora la connessione diretta tra te e il piano materiale è stabilita. Ora dovresti poterti spostare più su questo e quel piano a seconda della tua preferenza"
Riprendendo fiato mi chiesi se lo stesso legame fosse stato stipulato anche con altri, o se lo sarebbe stato in futuro. Mi dissi che lo avrei scoperto presto: se davvero qualcuno nel piano materiale era stato connesso a quello di Amyst presto sarebbe arrivato tra noi.

giovedì 27 agosto 2009

I due ambasciatori - Alleanza

Li trovai nel giardino.
Era appena sorto il mattino e l'aurora rosata si rifletteva sulle foglie e vi penetrava, creando un incanto di fili eterei che sembravano congiungere direttamente il cielo al suolo. Sedevano tranquilli, apparentemente godendo della quiete del luogo e della fresca vitalità che sembrava pervadare ogni cosa, mentre in lontananza il mare si faceva sentire, sbattendo con voce forte e profonda contro la scogliera. Mi aspettavo ci sarebbe stato Shin con noi, invece eravamo soli. Sentii Halo riscaldarsi leggermente e affiorare sopra la pelle, probabilmente rispondendo alla miriade di piccole energie vitali di cui si andava animando la macchia di vegetazione che si stendeva a pochi passi da noi, nascondendo la costa alla vista. Sorrisi ai due ambasciatori e di nuovo notai che la loro pelle aveva una luminosità interna e candida; non scorsi invece tracce della visione che si era sovrapposta ai loro volti durante il nostro precedente incontro e pensai che forse lasciarmela scorgere era stata una loro iniziativa per comunicarmi rapidamente chi fossero.
E chi fossero, io lo avevo capito bene. Discendendti di una razza antichissima a cui non era permesso quasi a nessuno accennare ad alta voce, ne rappresentavano in veste ufficiale il popolo attuale, ma anche quello passato: due ambasciatori che portavano in sè il legame a tutti i loro fratelli viventi e non, a tutte le vicende accadute al popolo da cui provenivano, ad ogni loro singolo ricordo ed ogni desiderio. 'Ambasciatori del tempo', li chiamavano. Ed avevano ragione.

Si alzarono appena li raggiunsi e mi invitarono a seguirli tra gli alberi. Il loro legame con la natura doveva essere forte, ma la sintonia che Halo aveva stabilito con loro mi fece intuire che non era il contatto con la vegetazione che cercavano, quanto la visione del mare e della scogliera bianca. I loro passi si dirigevano infatti in direzione della costa vicina, confermando l'ipotesi, e camminando mi esposero il motivo del nostro incontro.
"Ci fa piacere che tu abbia potutuo incontrarci oggi. La scorsa volta le tue condizioni non ti avrebbero permesso di comprendere a fondo l'argomento di cui discorreremo, perchè qualcosa dentro te ancora non funzionava come avrebbe dovuto. Anche ora le tue vibrazioni non sono perfettamente armoniche, ma sono già molto più vicine a quelle naturali, e ciò è un bene" Come colpito da una curiosità improvvisa, quello dei due che parlava mi chiese cambiando leggermente tono, come per una divagazione: "Sai di cosa parlo, quando mi riferisco alla vibrazione naturale?"
Riandai con la mente alle percezioni che avevo avuto di quello che io chiamavo 'fiume': il grande corso vitale in cui si inseriva ogni essere e si armonizzava nel coro nella sua unicità. La vibrazione di tutto questo, io la percepivo come un fruscio dolce e al contempo acuto sempre presente in fondo ad ogni suono, come il continuo scivolare della sabbia in una clessidra senza fine.
Feci cenno di sì, lo sapevo.
"Molto bene", riprese allora lui, "posso dirti francamente il motivo di questo incontro: vorrei parlarti delle energie a cui ti sei connesso e ancor più ti connetterai in futuro nel piano dove rappresenterai la tua gente"
Si riferiva al piano materiale di cui avevo discusso con Sadrath poco prima. Feci cenno di aver capito a cosa si riferisse e lo invitai a proseguire.
"Il mio popolo è estremamaente legato a quel piano, perchè la nostra storia si è intrecciata nel profondo con quella di quei luoghi. Non ti nasconodo che non sempre la mia gente vi ha operato nel bene, ma il nostro desiderio sincero è l'innalzamento di quel piano e la sua crescita energetica, fino a ritornare agli antichi splendori. Come hai potuto capire, noi rappresentiamo ben più che il nostro popolo attuale: in noi è raccolta la storia stessa della nostra gente. Ed è con questarappresentanza che noi due ti riconosciamo fiducia nell'operare sul piano materiale. La nostra gente non ti sarà nemica e non ostacolerà il tuo operato, da questo momento in poi contaci tra i tuoi alleati e non tra i tuoi nemici"

Aveva pronunciato le ultime parole con solennità, quasi fossero una sorta di patto rituale. Con la stessa solennità mi inchinai e li ringraziai, sentendo nel momento stesso aumentare il calore di Halo ed espandersi un confine lontano dentro di me, come se i miei spazi interiori si fossero fatti di un po' più ampi.
Ci separammo. Loro proseguirono in direzione della costa, il passo leggero e l'aura eterea di raggi chiari che si spandeva dal petto.

Il mio compito

Era ancora notte. Dopo che Vin fu andato via calcolai di avere ancora qualche momento di solitudine prima di recarmi all'incontro con gli ambasciatori e decisi di sfruttarlo per osservare lo spettacolo del cielo notturno, tanto bello da togliere il fiato. Stelle numerosissime si trovavano ovunque; luminose e di ogni grandezza sembravano bucare un manto di seta lavorata, che sfumava dal blu intenso dell'orizzonte fino al viola chiarissimo e lattiginoso della sommità. Un'incredibile concentrazione di vita sembrava raccolta in quel cielo, e mi pareva quasi d'obbligo pensare che ovunque, in quell'immesità di luci e soli lontanissimi, ci dovessere essere qualcuno che osservava affascinato come me l'infinità della notte.

"Uno spettacolo esaltante, non credi?"
Mi volsi di scatto in direzione della voce e scoprii che accanto a me c'era Sadrath. Non lo avevo sentito entrare, anzi mi chiedevo come potesse trovarsi lì, visto che la porta era chiusa e non c'erano altri ingressi. Lui sembrò capire la mia perplessità ma non mi diede spiegazioni, limitandosi a sorriderne.
"Sono qui per parlarti del tuo ruolo", disse poi tornando serio, "si tratta di un argomento importante, che finalmente sei pronto ad ascoltare"
Si riferiva evidentemente alla nuova luce che si era accesa in me e mi rallegrai che il mio gesto, sebbene avventato, avesse sbloccato la situazione di stasi in cui mi trovavo. Avevo avuto fortuna più che abilità, Vin me lo aveva lasciato intuire chiaramente, ma aveva funzionato.
Sadrath tornò a dire:"Come spero tu abbia già avuto modo di comprendere, questo piano sia connesso strettamente ad altri due piani: da un lato quello che viene chiamato 'piano materiale', dall'altro il 'piano etereo'"
Mi tornò alla mente il discorso di Umihan e silenziosamente la ringraziai per avermi trasmesso nozioni che ora mi risultavano indispensabili per comprendere Sadrath.
"Questo piano deve essere rappresentato anche sugli altri, oltre che governato qui. Tu fai parte dei quattro Dyia e come tale devi assumerti uno di questi compiti: il Cerchio ritiene che tu abbia ciò che occorre per rappresentare la nostra gente sul piano materiale, credi di poter accettare questo compito?"

Respirai a fondo.
Conoscevo bene il piano materiale, l'avevo visitato numerose volte ed era connesso al mio elemento in modo forte, inscindibile. L'alchimia, la scienza della trasformazione, è l'espressione più vera di un piano dove il ciclo della vita e della morte è lo scenario ed il motore soggiacente ad ogni esistenza.
"Si", risposi a bassa voce ma senza incertezze, "credo di poter svolgere al meglio questo compito"
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Mentre a me era stata assegnata la rappresentanza sul piano materiale, ad Hebe era stata assegnata quella sul piano etereo. Per occuparsi in modo continuativo di Amyst invece erano stati scelti Vin e Shin.
Tutto questo si accordava alla perfezione con i rispettivi elementi a cui ognuno di noi era legato: l'Alchimia per me era un canale diretto con il piano materiale, così come la Fede rappresentava per Hebe una connessione profonda con il piano spirituale. La Geometria di Shin e la Strategia di Vin erano infine gli elementi più indicati ad assicurare un buon equilibrio ed un'ottima capacità di azione nel nostro piano intermedio.
Il Cerchio, riflettei, aveva disposto in modo saggio le proprie risorse.

mercoledì 26 agosto 2009

Lame (parte 2)

Quando ripresi conoscenza mi trovavo nella grande vasca di pietra.
E' questo un luogo particolare, dove il calore delle acque è intenso pur senza essere nocivo o doloroso per la pelle. L'acqua bollente trasuda dalla pietra stessa che compone la grande vasca rettangolare in un continuo, lento stillicidio inesauribile, senza alcun suono: questo rende silenzioso in modo quasi irreale tutto l'ambiente che, saturo di vapore, ricorda da vicino una landa avvolta nella nebbia.
Non è infrequente, immersi in questa vasca, raggiungere stati d'animo e condizioni dello spirito lontane dalla normalità e fuori dal controllo razionale. Spesso questo luogo è utilizzato espressamente per questo scopo, sperando che il raggiungimento di una maggiore libertà mentale ed un distaccamento temporaneo dal proprio corpo sia d'aiuto alla comprensione ed alla riflessione circa problemi altrimenti difficili da affrontare.
Ma la meditazione non è l'unico scopo della vasca. Al contrario, non di secondaria importanza è anche la sua finalità terapeutica: l'immersione nelle acque di misteriosa origine che contiene risulta in moltissimi casi benefica per il fisico e molto rigenerante, fin quasi a sembrare miracolosa.

Quando aprii gli occhi e realizzai dove mi trovavo, subito capii che qualcuno doveva aver trasportato il mio corpo fino a lì dopo averlo trovato svenuto sotto la finestra dove avevo tentato di utilizzare le lame su di me.
Ricordando improvvisamente i dettagli di ciò che era accaduto, d'istinto mi analizzai le mani e scoprii che erano ritornate alla loro forma usuale, senza traccia della presenza delle lame. I bracciali rilucevano sottili sui polsi, in apparenza nulla più che piccoli ornamenti argentei. Mi tastai il fianco che avevo penetrato poche ore pima, ma anche lì non scoprii che un vago indolenzimento, assolutamente privo di qualsiasi segno visibile dell'impresa tentata. Sembrava un dolore dormiente, nascosto sotto la carne e i muscoli, che per ora rimaneva remoto ma che qualche movimento o pensiero repentino avrebbero potuto risvegliare senza difficoltà.
Dalla nebbia accanto a me, una sagoma si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia fino ad avere il viso vicino al mio.

Vin mi scrutava con aria indagatrice, cercandomi qualcosa negli occhi. Doveva essere stato lui a trovarmi ed ora forse cercava di capire se si fosse trattato di un mio errore o qualcosa di voluto, se fosse stato un mio esperimento sfuggitomi di mano oppure qualcosa di ponderato. Nemmeno io avrei saputo dirlo.
Distogliendo gli occhi dai miei disse: "Hai una luce nello sguardo che sembra accesa in lontananza"
Aveva ragione, così mi sentivo. Come se il tentativo di risvegliare in me quella luce che ancora era bloccata fosse riuscito solo in parte: si era accesa, ma era flebile e distante, più simile ad un faro scorto da lontano che ad un fuoco vivo e bruciante. C'era ancora del lavoro da fare, ma almeno qualcosa era cambiato.

Mi aiutò con genti delicati ma decisi ad uscire dalla vasca e rivestirmi. Non stavo male, ma avevo la sensazione di muovermi non in perfetta sincronia con il mio corpo. Sulla pelle notai molte più piume nere della volta precedente, concentrate soprattutto sulle spalle e sulla schiena, ma la cosa non mi turbò. Non saprei dire per quale strano meccanismo mentale, consideravo normale la mia somiglianza a volte più a volte meno marcata con un corvo: lo percepivo come un aspetto misto al mio essere che ad intervalli si mostrava.
Gli abiti che mi aiutò ad indossare erano diversi dal solito. Sempre di colore nero, ma tagliati e lavorati meglio, come se fossero stati creati con più cura, su misura per me. Trovai che mi stavano bene.
"Preparati con cura", disse Vin; "hanno chiesto di te gli ambasciatori"

martedì 25 agosto 2009

Lame (parte 1)

Mi appoggiai alla finestra, senza più pensieri.
Erano ormai diversi giorni che mi trovavo in quel limbo di chiaroscuro, senza punti di riferimento, senza una meta precisa ma con la netta sensazione di dover iniziare a svolgere un compito che non avevo ancora compreso del tutto. Mi osservai i polsi sovrappensiero: le lame non erano per nulla visibili quella sera, i bracciali erano solo una forma in rilievo sotto la pelle. Erano così discreti e impercettibili che pareva quasi impossibile avessero un qualche utilizzo importante.
E io, mi chiesi, che utilizzo avrei dovuto avere?

Nella mia nuova vita c'era un grosso vuoto, lo avvertivo in tutta la sua concretezza. Mi mancavano punti di riferimento, mi mancavano le relazioni con le persone, mi mancava uno scopo. Mi sentivo come se fluttuassi in una grande vasca, lontano dai bordi, nel bel mezzo del nulla.
Fu allora che dalla mano le lame si allungarono decise.
Non fu doloroso, piuttosto fu quasi piacevole. Un senso di fresco mi si diffuse sulle dita, mentre i palmi mi briciavano. Vidi le lame crescere e deformarmi le mani, rendendole simili ad artigli. Minacciose forse, di certo all'apparenza potenti, senza dubbio affascinanti. Eppure... eppure sentivo che non avrei potuto utilizzarle.
Con gli avambracci alzati davanti al viso, vidi il mio riflesso nelle molte sfaccettature delle armi e mi accorsi che i miei occhi erano spenti, vacui, come se non vi fosse alcuna scintilla di vita dentro.
'Ecco', pensai; 'per questo non posso usare le lame. Mi manca l'energia. Qualcosa dentro di me non brucia come dovrebbe, qualcosa non si è ancora attivato da quando ho fatto ritorno dalla montagna dei corvi. Qualcosa è bloccato e mi fa male'

Subito seppi cosa avrei dovuto fare.
Le armi erano ganci, canali che mi connettevano alle energie fondamentali permettendomi di interagirvi: avrei dovuto usarle per attivare quelle parti di me che ancora dormivano, o che si nascondevano per non essere scovate.
E sapevo che avrebbe fatto male.
Chiusi gli occhi e trattenni il fiato.

Sentii qualcosa di duplice: all'altezza del fianco dove infilaii la lama mi pervase il dolore, con una sensazione di freddo che mi faceva correre brividi lungo tutto il corpo; sulla mano che invece avevo usato per penetrarvi avvertii immediatamente una sensazione rovente, come un'ondata di calore inarrestabile che mi arrivò in un baleno fino al gomito, in un susseguirsi di formicolii e vibrazioni.
La mano affondò fino al polso e poi andò oltre: la connessione che avevo stabilito era forte ed univa me come singolo essere vivente ad una forza più grande ed eterea, che ora sentivo incanalarsi attraverso di me, mentre agivo da arma e da bersaglio contemporaneamente.

Di colpo, tutto era molto chiaro.
C'era rabbia, un oceano di rabbia repressa. Rabbia egoistica, perchè la mia mente aveva scelto di fluire con la corrente, ma il mio cuore invece a volte desiderava ancora avere una strada speciale, essere diverso, essere unico ed eletto. Non sopportavo di essere come gli altri, di far parte dell'infinito universo come i miliardi di altri piccoli granelli ne facevano parte pacificamente, ognuno nella sua meravigliosa unicità. Rabbia e senso di colpa. Mi chiedevo: 'Perchè se davvero ho compreso tutto questo, se l'ho addirittura veduto, com'è possibile che ancora non lo accetti?' Per egoismo, per auto-amore sterile quanto distruttivo, per l'assurda convinzione di essere il mio dio, solo ed unico. Proprio di questo mi resi conto all'improvviso: di non aver ancora accettato Dio.
Mi resi conto che da qualche parte stavo piangendo. Avevo scelto di essere un Diya, ma non accettavo Dio: che significato poteva avere la mia vita allora? Non si sarebbe ridotta ad altro che una farsa tutta la strada che avevo imboccato?

Fu allora che sentii dei fili intrecciarsi sotto le lame e sotto le dita.
Li afferrai con decisione, sentendo al contempo il dolore e il piacere di un fluire nuovo, qualcosa di liberatorio, purificante.
Come se il troppo materiale dentro di me avesse trovato un vuoto in cui espandersi e il troppo vuoto in cui fluttuavo finalmente avesse potuto accogliere qualcosa in sè.
Non avrei mai trovato come accettare Dio ed affidarmi completamente a Lui, se non a piccoli passi, sciogliendo un vecchio legame per volta, abbandonando a Lui un pezzetto di me alla volta.

Senza più forze caddi a terra, con l'unico desiderio di abbandonarmi e chiudere gli occhi.
Le lame stavano ancora nel fianco.

lunedì 24 agosto 2009

Definizioni e appunti

Geometria: L'arte di esprimere l'equilibrio e l'armonia dei tracciati soggiacenti ogni elemento e pensiero
Alchimia: L'arte di trasformare, utilizzare e combinare gli elementi dell'animato e l'animato stesso
Strategia: L'arte di trasporre l'idea in azione, concretizzare ed infondere realtà al pensiero
Fede: L'arte di congiungere divino ed emanazione e comunicare con l'elemento eterno insito in ogni elemento mutevole

L'Equilibrio emana Geometria
La Vita emana Alchimia
La Spiritualità emana Fede
La Forza emana Strategia

La Forza dona vita all'equilibrio
La Geometria dona spiritualità all'alchimia
L'Alchimia dona forza alla fede
La Fede dona equilibrio alla forza

Le terne:
Vita - Equilibrio - Spiritualità
Vita - Equilibrio - Forza
Vita - Forza - Spiritualità
Spiritualità - Forza - Equilibrio


8 opposti, uguali a coppie (pozzi):
Vita --> fioritura/cambiamento
Spiritualità --> elevazione/accentramento
Equilibrio --> armonia/dissonanze
Forza --> creazione/distruzione

(Inciso: Rinascita)

Un'alba dai colori metallici si solleva rapida dietro il profilo della montagna. erano state notti lunghe per i molti corvi che hanno volato nelle grotte segrete all'interno della montagna: le loro ombre si erano inseguite in un intreccio infinito sulle pareti illuminate dai fuochi, disegnando frattali complessi dalle innumerabili sfumature.
Tra loro, intorno ai fuochi, non vi era nessuno. Non c'erano figure umane nelle viscere della montagna, solo un mantello vuoto, adagiato nella sala circolare. Con il passare delle notti, una figura sempre meno eterea ha via via riempito il mantello, formandosi forse dal fumo del fuoco sacro che ardeva al centro, forse dalle piume nere perdute dai corvi in sempiterno volo.

Quest'essere, ora in piedi davanti all'ingresso della montagna, è minuto, ma il suo corpo sembra contenere una forza inespressa, che solo parzialmente si manifesta nei muscoli, leggeri ma ben definiti. Porta i capelli piuttosto corti, scuri, che gli ricadono scompigliati sulla fronte dove si intravede una sottile striscia metallica cingergli il capo, mentre il resto del viso, che appare piuttosto sporco per la fuligine delle grotte chiuse, rivela labbra sottili e un mento dal contorno morbido. Nell'insieme, i suoi lineamenti erano piacevoli e piuttosto comuni, particolareggiati esclusivamente dal taglio degli occhi, forse leggermente più allungati del normale. Gli occhi della figura erano tuttavia chiusi ora, come se contemplasse l'alba con altri sensi diversi dalla vista.
Il suo abbigliamento è composto unicamente dal mantello che avvolgeva il suo corpo al risveglio, ma ai polsi porta due bracciali bruniti, dalla foggia strana, che a tratti sembrano quasi scomparire al di sotto della pelle, così come il cerchio metallico sulla fronte.

Quando l'alba è ormai sbocciata nel giorno, dall'est il profilo di un drago emerge nel cielo. Veloce veleggia fino alla montagna, facendo scintillare al sole le molte scaglie dorate che riflettono un incanto di colori mutevoli. Solo allora la figura apre gli occhi, rivelandone la pupilla grande e nera circondata da un'iride dorata, straordinariamente luminosa. I bracciali che porta ai polsi affondano fino a scomparire sotto gli avambracci, mentre larghe lame ricurve affiorano sul dorso delle mani, ricoprendo le dita ed allungandosi ancora oltre, fino a sfiorare la parte bassa delle cosce lungo cui le braccia della figura riposano.
Non sembra sentire dolore in tutto questo, ma il suo respiro aumenta di ritmo e portata, facendosi più profondo. Poi all'improvviso, il suo corpo si dissolve in un nugolo di corvi, che lasciano cadere a terra il mantello nero e si sollevano in volo come uno stormo compatto, tutti concordemente rivolti a volare verso il mare. Dopo pochi istanti, anche il drago d'oro riprende il suo volo, nella stessa direzione.

Halo (spiegazione)

Halo, chiamato anche 'la corona' è una emanazione strumentale. Con il termine 'emazione' si intende la quasi diretta trasposizione di energie pure in oggetto percepibile, mentre il termine 'strumentale' indica il fine pratico di tale concretizzazione.
Halo si trasmette in successione diretta; non è simbolo di nessun potere specifico, ma consiste invece in uno strumento attraverso cui sbloccare ed impiegare capacità latenti nel portatore.
L'aspetto di Halo è estremamente semplice e quasi costante per ogni suo possessore: un cerchio metallico fissato al capo, che attraversa la fronte a circa tre quarti della sua altezza. Una particolarità del suo aspetto consiste nel fatto che non risulta sempre visibile, bensì, appare fissata sotto la pelle e ne affiora solo in determinati momenti, generalmente non scelti dalla volontà di chi la indossa.

La caratteristica più importante di Halo è l'impossibilità di toglierlo. Ognuno dei suoi possessori è infatti morto al momento del passaggio della corona al successore, a causa del fatto che, durante il processo di fusione, l'energia dello strumento viene collegata in modo inscindibile a quella del portatore, così che i due risuonino insieme, alimentandosi vicendevolmente.
La principale risonanza che Halo esercita è quella relativa al terzo occhio, il condotto energetico che attraversa il capo partendo dal punto tra gli occhi e giungendo sulla nuca all'altezza della ghiandola pineale. Il magnetismo esercitato dalla corona interagisce con il flusso energetico che normalmente attraversa il condotto, polarizzandolo e potenziandolo, così da farne più precise le percezioni ed affinarne la direzione.
Il processo di fusione, cioè l'unione della corona al portatore, richiede diverso tempo e deve essere perfezionato nel tempo, fino ad ottenere un equilibrio ottimale; a causa delle evoluzioni del portatore e delle energie che Halo racchiude, la combinazione più efficiente tra corona e portatore è da cercarsi continuamente, aggiustando di volta in volta il legame per adattarlo.

Contrariamente a quanto si possa credere, non esiste un solo Halo. La corona non è infatti unica ma, in quanto manifestazione strumentale di un'energia, è invece una visualizzazione ed una concretizzazione di un concetto in una forma insita nell'immaginario ancestrale comune. Esistono quindi molti Halo ed ogni Halo è unico, poichè in ognuno viene incanalato un diverso concetto ed una finalità differente.


Dal diario passato: la fusione - 12.07.2007, 19:00
Sette.
Dorati.
Sono disposti in ordine sul panno nero, lucidi e perfetti. I loro riflessi candidi nella penombra gelida sono sorrisi senza amore; i loro suoni silenziosi sono come eco di voci in queste stanze scure.
Hanno l'impugnatura che avrebbe un coltello, ma non hanno lama: al suo posto c'e' un cono, appuntito e perfettamente liscio.
C'e' silenzio: si puo' sentire lo schiocco delle gocce che cadono, dal soffitto al pavimento, in lontananza.
Una ogni tanto.

Le figure che mi stanno intorno sono ammantate di lunghi abiti neri; i cappucci coprono il loro volto, e lo rendono una chiazza scura, solo un po' piu' nera dei vestiti.
Quando respirano, dalle loro labbra invisibili fuoriesce uno sbuffo di vapore dai colori cangianti.
Il piu' autorevole del gruppo mi e' davanti: e' lui che utilizza i sette oggetti. Ne ha gia' usati quattro.
"Sarà un lavoro lungo", mi ha detto; poi non ha piu' parlato, limitandosi ad infilare ed estrarre i coni d'oro, secondo quello che sembrerebbe un suo intento preciso, sebbene incomprensibile per me.
Il suo alito, in tutto questo tempo, ha amesso pochissimi sbuffi di vapore; come se respirasse una volta ogni molte ore.

Dopoi sette coni, ci sara' il cerchio.
Un semplicissimo cerchio di metallo, che mi hanno messo intorno al capo dall'inizio, stretto, con piccolissime borchie rotonde ad adornarlo.
Alla fine dei coni, lo stringera' di piu' e di piu', fino a che non sara' parte di me.
Poi, il suo lavoro sara' concluso.

Mormorano che devo prepararmi.
Alcuni la chiamano "corona" altri lo chiamano "halo", aureola.
Dicono che non sara' facile.
Stanno molto attenti che l'anziano non li senta parlare, temono si possa arrabbiare, se li sorprende mentre mi dicono sottovoce cosa succedera'.
Credo inizino a sperare che vada tutto bene.
"Te la metterà quando sapra' che puoi accettarla", dice uno che ha la voce di un bambino; "prima non si puo'. Perchè una volta che l'avra' messa, non la potrai togliere più."

I due ambasciatori biondi

Non avevo mai sentito Halo piantarsi così a fondo e con tanta violenza nel mio terzo occhio. Era come avere un canale di fuoco che mi attraversasse la testa, doloroso e pulsante. "E' necessario", mi diceva Hebe; "l'energia di Halo deve accordarsi alla tua e poi aumentarne la frequenza". Io tacevo e aspettavo finisse; provavo a dormire ed ogni volta mi ritrovavo in una pasta nera e avvolgente che mi inchiodava al letto per poi risputarmi nel silenzio notturno.
All'alba, il dolore c'era ancora ma era diminuito; al suo posto restava una pressione continua e un formicolio appena sotto la pelle, quasi come un brivido.

Shin è venuto a prendermi direttamente in camera. "Vieni", ha detto senza troppe cerimonie, "dobbiamo vedere della gente"
Ci siamo ritrovati senza che capissi come di fronte a due individui che avevo già notato il giorno del mio arrivo: alti e con la pelle luminosa, biondi, con grandi occhi chiari. Li ho fissati per qualche istante e immediatamente alla loro immagine se ne è sovrapposta una seconda, coincidente per i contorni e la posizione delle due sagome, ma differente per il resto. Dove prima c'erano i loro volti, ora vedevo delle sfocate macchie chiare simili a cera sciolta, in cui navigavano grandi macchie scure, come se anche i loro occhi si fossero sciolti nella cera, lasciando solo larghe pupille stupefatte a fissarmi. Raggi di luce bianca e dorata si spandevano dal centro del loro petto, mentre alzavano le mani a proteggersi il viso da qualcosa che sembrava terrorizzarli.
Battei le palpebre e di nuovo mi trovai di fronte i loro visi piacevoli.
Non dissi nulla, ma avevo capito chi fossero. Avevo la netta impressione che anche Shin lo sapesse, ma anche lui taceva. Dopo esserci osservati ancora qualche minuto in silenzio ci salutarono e si voltarono per allontanarsi; allora chiesi prima che se ne andassero: "Di cosa desideravate parlarci?"
Si volsero lievemente e risposero che ne avremmo discusso in seguito, per il momento si ritenevano particolarmente soddisfatti del fatto che li avessi 'visti' e avessi compreso chi fossero.
Dissi loro di cercarmi quando avessero voluto riprendere il discorso e ci separammo.

venerdì 21 agosto 2009

Il mio corpo

In solitudine, nelle stanze riservate a me, ho provato a sciacquarmi via la stanchezza e la confusione. Ho riempito una vasca di acqua calda, caldissima, e l'ho sentita bruciarmi addosso per poi accogliermi in sè, come in un abbraccio. Tutto era completamente buio, il vapore saturava la stanza; ad occhi chiusi mi permettevo di sognare, ricordare, viaggiare lontano, non saprei dire dove. Percepivo solo il caldo abbraccio dell'acqua e i miei muscoli sempre più rilassati, la mia pelle sempre meno tesa, mentre mi abbandonavo.
Rimasi così per diverso tempo, finchè non avvertii una presenza amica alle mie spalle: prima che potessi voltarmi, Hebe già mi appoggiava le mani sul collo e attraverso i palmi mi trasfondeva un'energia calma e dolce, quell'energia che nella sua persona è come la tela bianca su cui la sua personalità traccia innumerevoli disegni. Lo lasciavo fare ed accoglievo con gratitudine il suo regalo.

Penso che mi addormentai o forse persi conoscenza; senza che potessi ben capire come, mi risveglia sul mio letto mentre lui proseguiva nel suo trattamento, spostando ora le mani più liberamente anche su tutti gli altri punti energetici del corpo. Ad occhi chiusi nella semi-oscurità, di colpo mi accorsi che potevo vedere attraverso i suoi occhi. Dietro le palpebre mi scorrevano le immagini che Hebe vedeva in quel momento: vedevo le sue mani sicure, la stanza intorno a noi e... me.
Vedere il mio corpo dall'esterno fu un'esperienza che mi sconvolse. Può sembrare strano, ma dal momento in cui avevo lasciato la montagna dei corvi, cioè dall'istante della mia 'rinascita' in questo mondo, ormai avvenuta da quasi tre giorni, non avevo mai speso molto tempo ad osservarmi; avevo dato uno sguardo al mio volto negli specchi ed avevo appurato che i lineamenti erano rimasti simili a quelli che mi erano familiari, ma non avevo ancora osservato con attenzione il resto del corpo. Può darsi sia stato per l'attenzione costante che i bracciali di metallo ai polsi attiravano costantemente: avevo passato così tanto tempo a studiarli e chiedermi quali fossero le loro potenzialità che avevo dedicato ben pochi sguardi agli altri aspetti del mio corpo. O forse potrebbe essere stato il disorientamento inevitabile che aveva fatto seguito ad un 'nascita' così improvvisa e ricca di sensazioni, seguita da un rientro a casa dove mi attendevano emozioni, volti e ricordi sia nuovi che antichi. Il risultato ad ogni modo era che adesso, attraverso lo sguardo di Hebe, per la prima volta vedevo il mio corpo per intero, nudo, e ne scoprivo le caratteristiche.

Il primo aspetto che mi colpì fu l'assenza del sesso. Non c'erano organi visibili, solo una zona coperta da una macchia scura, che nella penombra non compresi se fosse composta da peli o da piume. Mi trovai a ricordare momenti di sesso avuti in passato, nel mondo di prima, e nella memoria qualcosa traspose il ricordo in modo automatico e del tutto naturale, rendendolo conforme al mondo in cui mi trovavo ora. Nella mia mente vedevo l'atto sessuale così come in questo mondo avveniva, tra esseri con un corpo come quello che avevo io, quasi che le memorie fossero 'tradotte' perchè il mio cervello di questo piano ne potesse visualizzare e comprendere i concetti.
Spostai poi lo sguardo sulle braccia e le gambe, scoprendo che erano avvolte da un sottile strato di muscoli, quasi invisibili sotto la pelle, ma in apparenza sani e pronti a scattare.
Halo, il sottile cerchio metallico che mi affiorava dal capo a volte, quella sera era appena intuibile dal suo vago luccichio nella penombra, così come i bracciali ai polsi, che erano visibili solo per una stretta striscia argentata che mi arrivava ai polsi dalla metà inferiore dell'avambraccio.

Aprii gli occhi e di colpo la canalizzazione della vista di Hebe cessò. Gli sorrisi e lo ringraziai, cadendo quasi immediatamente nel sonno, prima ancora di sentire la porta chiudersi alle sue spalle.

giovedì 20 agosto 2009

Umihan (Un complesso sistema)

Non immaginavo il viaggio fosse stato così faticoso. Mi accorgo di avere ancora una patina di stanchezza addosso, che non riesco a sciogliere. Stamani esaminavo il mio aspetto prima di lasciare le stanze riservate a me e lo trovavo molto diverso da quello che avrei voluto avere: l'espressione distante, i muscoli contratti, gli occhi socchiusi. Non era certo il modo più adatto per trasmettere un'impressione positiva.
Decisi di prendermi ancora qualche minuto e lasciare che lo sguardo vagasse oltre le finestre, sul mare, proprio mentre sorgeva il giorno ad illuminare di un manto rosato le onde, le scogliere ed il cielo.
I miei pensieri erano confusi, mi facevo domande a cui non sapevo dare risposte soddisfacenti. Mi chiedevo quali fossero i nuovi equilibri che reggevano questo complesso sistema di piani che fino ad ora avevo solo potuto intuire vagamente da pochi accenni frettolosi. Mi chiedevo quali forze reggessero il mio in particolare, quale fosse il mio ruolo al loro interno, cosa dovessi aspettarmi e cosa ci si aspettasse da me...
Qualche delicato colpo alla porta mi riscosse. Colpi così delicati che se avessi dormito non mi avrebbero svegliato; con una certa curiosità andai ad aprire e mi trovai di fronte l'ultima persona che avrei immaginato.

"Umihan?"
"Ciao... Ylai"
Pronunciava il mio nome con esitazione, quasi con imbarazzo, mi dissi che era normale perchè non lo aveva mai utilizzato: nel tempo in cui vivevamo insieme ne portavo un altro, ma anche il mondo era un altro, sull'altra faccia del nastro di Moebius.
La feci entrare e ci sedemmo proprio di fronte alle grandi finestre dove avevo lasciato i miei pensieri perdersi poco prima. Avrei voluto chiederle molte cose di lei e anche di Caim, ma mi bastò un suo sguardo per capire che non avreebbe potuto parlarmene; così mi limitai ad ascoltare ciò che era venuta a dirmi, accettando come ormai facevo da tempo l'assoluto divieto di ricercare alcuna traccia di lui o del suo attuale stato. Mentre parlava, notai che la sua voce dolce era diventata più giovane, fresca, come anche il suo aspetto. Sembrava ringiovanita, ma non solo; si sarebbe detto che qualcosa di molto più luminoso ardesse in lei rispetto al nostro ultimo incontro e in qualche modo arrivasse da dentro ad illuminare anche il suo aspetto esteriore.
Con precisione prese ad illustrarmi gli equilibri che solo pochi minuti prima mi sembravano tanto oscuri, dipanando in parte la nebbia che avvolgeva le mie riflessioni.

"Innanzitutto devi sapere", esordì, "che questo piano si trova a mezza via tra altri due. Non si tratta di un piano completo in sè stesso, la sua essenza è solo in parte sua propria: esso contiene parzialmente la scintilla vitale che lo individua e lo rende animato, ma non ne è pieno. Al suo interno trova posto anche l'energia dei piani da cui è stato originato, come se da essi sublimasse, come se ne fosse emanazione. Per questa ragione l'essenza stessa di questo piano è in parte composta dei sogni, dei desideri e delle speranze di coloro che vivono negli altri due, in un legame inscindibile e ambivalente. Le azioni intraprese qui, su di essi si riflettono"

Le sue parole scivolavano in basso, verso una parte di me profondissima che le assorbiva e le accoglieva a risvegliare conoscenze e consapevolezze che non sapevo di possedere.
Di colpo sentii l'essenza dei corvi agitarsi in me, quasi mi sembrava che le loro piume nere mi affiorassero sulla pelle e il mio viso mutasse fino a trasformarsi in un becco, ma fu solo un istante. Con un un cenno le chiesi di proseguire e lei con molto tatto non commentò ciò che di certo aveva notato.

"L'equilibrio tra le forze di questo piano è mantenuto da un complesso sistema. Quattro sono le forze principali su cui si impernia questa epoca, ognuna incanalata da uno dei quattro Diya. Su di loro vigila il Cerchio, che ha il compito di amntenere viva la percezione di tutte le altre forze presenti ed esprimerne le spinte per preservare l'equilibrio e la corretta interazione"
Sembrò riflettere qualche secondo prima di aggiungere: "I membri del Cerchio sono saggi e potenti. E' tuo dovere prestar loro ascolto, Ylai"

La ringraziai per le spiegazioni per me tanto preziose e domandai ciò che più mi preoccupava: "Qual'è il mio compito?"
Lei sorrise e chiese semplicemente: "Cosa desideri per questo mondo?"
"Pace", risposi istintivamente; "felicità, la possibilità di un futuro. Tutto ciò che non avevamo prima e che forse ora è diventato possibile"
"Questo. Solo questo è il tuo compito"
Si alzò e si diresse alla porta prima che potessi ribattere, anche prima che potessi salutarla. Già sulla soglia disse solo "Arrivederci", e con un ultimo sorrisò se ne era già andata.

mercoledì 19 agosto 2009

Tornare a casa

Tornare a casa è strano: è, e al contempo non è, casa mia.
Mi sorprende constatare quanto mutati siano alcuni tratti del luogo a me più familiare. I soffitti sono alti, illuminati da fuochi più scuri e ricchi di ombre che prima non c'erano. Il suono dei passi rimbomba sulla pietra con un'eco nuova, i profumi sono più concreti, a tratti ricordano paesi orientali. Se si rimane in silenzio, si può sentire il rumore delle onde sugli scogli, molto più in basso di noi. Tutto sembra più reale, più fluido, molto meno ordinato ma in compenso molto più vitale.

All'interno ci sono molte persone, di cui conosco solo qualcuno. Ognuno sembra affaccendato a seguire i propri affari o a dialogare con altri; alcuni piccoli gruppi sono raccolti negli angoli o nelle stanze, ma tutti indifferentemente sembrano calati in attività più o meno intense. Alcuni degli sconosciuti mi osservano con curiosità, e a mia volta li guardo, scoprendo che sembrano provenire da molti luoghi diversi, la maggior parte dei quali non so neppure immaginare dove si trovino.

In particolare, mi aspetta una persona che ho già incontrato una volta, ha qualcosa da dirmi e mi chiede di seguirlo in una stanza dove rimaniamo soli. L'arredamento di foggia araba è dominato da tende, tappeti e grossi cuscini disposti intorno a un basso tavolino circolare in legno. Appena ci sediamo mi rendo conto di quanto sia stato faticoso arrivare qui e desidero più di ogni altra cosa potermi lavare e dormire. Non ricordo quasi nulla del viaggio, a parte alcuni fotogrammi della costa battuta dal sole, con le candide scogliere verticali, levigate dal mare; per un attimo mi soffermo ad ammirarne il ricordo, ma mi rendo conto che il mio interlocutore ha già iniziato a parlare.

"...perciò, la prima cosa che dovrai fare sarà prendere atto delle molteplici interazioni che ora sussistono tra noi e il resto dei popoli. Come vedi, ci sono persone da ogni dove e altre ne stanno arrivando. Non ci si aspetta che tu interagisca con tutti, ma devi sempre essere consapevole della loro presenza e far sì che loro lo siano della nostra."

Parlando, si è acceso una lunga pipa e me ne offre un tiro. Rifiuto, ma non manco di notare che il sapore del fumo che si spande nella stanza mi è stato familiare per un breve periodo in passato. Sorrido pensandoci, mentre lascio che lo sguardo mi si perda tra le nubi dense sospese sopra di noi. Sento le palpebre abbassarsi e Sadrath, così si chiama il mio interlocutore, se ne accorge, ma non si offende.
Con una lunga boccata riprende ad illustrarmi la moltitudine di persone che attraversano la casa, ma non gli presto grande attenzione. E' già stato così in passato: il ricordo della loro presenza, la sensazione del loro sguardo, è un'abitudine inconscia che ho assorbito da sempre, fa parte di me. Riprendere l'abitudine è come indossare un vecchio abito e ritrovarvi le forme del corpo.