mercoledì 19 agosto 2009

Tornare a casa

Tornare a casa è strano: è, e al contempo non è, casa mia.
Mi sorprende constatare quanto mutati siano alcuni tratti del luogo a me più familiare. I soffitti sono alti, illuminati da fuochi più scuri e ricchi di ombre che prima non c'erano. Il suono dei passi rimbomba sulla pietra con un'eco nuova, i profumi sono più concreti, a tratti ricordano paesi orientali. Se si rimane in silenzio, si può sentire il rumore delle onde sugli scogli, molto più in basso di noi. Tutto sembra più reale, più fluido, molto meno ordinato ma in compenso molto più vitale.

All'interno ci sono molte persone, di cui conosco solo qualcuno. Ognuno sembra affaccendato a seguire i propri affari o a dialogare con altri; alcuni piccoli gruppi sono raccolti negli angoli o nelle stanze, ma tutti indifferentemente sembrano calati in attività più o meno intense. Alcuni degli sconosciuti mi osservano con curiosità, e a mia volta li guardo, scoprendo che sembrano provenire da molti luoghi diversi, la maggior parte dei quali non so neppure immaginare dove si trovino.

In particolare, mi aspetta una persona che ho già incontrato una volta, ha qualcosa da dirmi e mi chiede di seguirlo in una stanza dove rimaniamo soli. L'arredamento di foggia araba è dominato da tende, tappeti e grossi cuscini disposti intorno a un basso tavolino circolare in legno. Appena ci sediamo mi rendo conto di quanto sia stato faticoso arrivare qui e desidero più di ogni altra cosa potermi lavare e dormire. Non ricordo quasi nulla del viaggio, a parte alcuni fotogrammi della costa battuta dal sole, con le candide scogliere verticali, levigate dal mare; per un attimo mi soffermo ad ammirarne il ricordo, ma mi rendo conto che il mio interlocutore ha già iniziato a parlare.

"...perciò, la prima cosa che dovrai fare sarà prendere atto delle molteplici interazioni che ora sussistono tra noi e il resto dei popoli. Come vedi, ci sono persone da ogni dove e altre ne stanno arrivando. Non ci si aspetta che tu interagisca con tutti, ma devi sempre essere consapevole della loro presenza e far sì che loro lo siano della nostra."

Parlando, si è acceso una lunga pipa e me ne offre un tiro. Rifiuto, ma non manco di notare che il sapore del fumo che si spande nella stanza mi è stato familiare per un breve periodo in passato. Sorrido pensandoci, mentre lascio che lo sguardo mi si perda tra le nubi dense sospese sopra di noi. Sento le palpebre abbassarsi e Sadrath, così si chiama il mio interlocutore, se ne accorge, ma non si offende.
Con una lunga boccata riprende ad illustrarmi la moltitudine di persone che attraversano la casa, ma non gli presto grande attenzione. E' già stato così in passato: il ricordo della loro presenza, la sensazione del loro sguardo, è un'abitudine inconscia che ho assorbito da sempre, fa parte di me. Riprendere l'abitudine è come indossare un vecchio abito e ritrovarvi le forme del corpo.

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