martedì 25 agosto 2009

Lame (parte 1)

Mi appoggiai alla finestra, senza più pensieri.
Erano ormai diversi giorni che mi trovavo in quel limbo di chiaroscuro, senza punti di riferimento, senza una meta precisa ma con la netta sensazione di dover iniziare a svolgere un compito che non avevo ancora compreso del tutto. Mi osservai i polsi sovrappensiero: le lame non erano per nulla visibili quella sera, i bracciali erano solo una forma in rilievo sotto la pelle. Erano così discreti e impercettibili che pareva quasi impossibile avessero un qualche utilizzo importante.
E io, mi chiesi, che utilizzo avrei dovuto avere?

Nella mia nuova vita c'era un grosso vuoto, lo avvertivo in tutta la sua concretezza. Mi mancavano punti di riferimento, mi mancavano le relazioni con le persone, mi mancava uno scopo. Mi sentivo come se fluttuassi in una grande vasca, lontano dai bordi, nel bel mezzo del nulla.
Fu allora che dalla mano le lame si allungarono decise.
Non fu doloroso, piuttosto fu quasi piacevole. Un senso di fresco mi si diffuse sulle dita, mentre i palmi mi briciavano. Vidi le lame crescere e deformarmi le mani, rendendole simili ad artigli. Minacciose forse, di certo all'apparenza potenti, senza dubbio affascinanti. Eppure... eppure sentivo che non avrei potuto utilizzarle.
Con gli avambracci alzati davanti al viso, vidi il mio riflesso nelle molte sfaccettature delle armi e mi accorsi che i miei occhi erano spenti, vacui, come se non vi fosse alcuna scintilla di vita dentro.
'Ecco', pensai; 'per questo non posso usare le lame. Mi manca l'energia. Qualcosa dentro di me non brucia come dovrebbe, qualcosa non si è ancora attivato da quando ho fatto ritorno dalla montagna dei corvi. Qualcosa è bloccato e mi fa male'

Subito seppi cosa avrei dovuto fare.
Le armi erano ganci, canali che mi connettevano alle energie fondamentali permettendomi di interagirvi: avrei dovuto usarle per attivare quelle parti di me che ancora dormivano, o che si nascondevano per non essere scovate.
E sapevo che avrebbe fatto male.
Chiusi gli occhi e trattenni il fiato.

Sentii qualcosa di duplice: all'altezza del fianco dove infilaii la lama mi pervase il dolore, con una sensazione di freddo che mi faceva correre brividi lungo tutto il corpo; sulla mano che invece avevo usato per penetrarvi avvertii immediatamente una sensazione rovente, come un'ondata di calore inarrestabile che mi arrivò in un baleno fino al gomito, in un susseguirsi di formicolii e vibrazioni.
La mano affondò fino al polso e poi andò oltre: la connessione che avevo stabilito era forte ed univa me come singolo essere vivente ad una forza più grande ed eterea, che ora sentivo incanalarsi attraverso di me, mentre agivo da arma e da bersaglio contemporaneamente.

Di colpo, tutto era molto chiaro.
C'era rabbia, un oceano di rabbia repressa. Rabbia egoistica, perchè la mia mente aveva scelto di fluire con la corrente, ma il mio cuore invece a volte desiderava ancora avere una strada speciale, essere diverso, essere unico ed eletto. Non sopportavo di essere come gli altri, di far parte dell'infinito universo come i miliardi di altri piccoli granelli ne facevano parte pacificamente, ognuno nella sua meravigliosa unicità. Rabbia e senso di colpa. Mi chiedevo: 'Perchè se davvero ho compreso tutto questo, se l'ho addirittura veduto, com'è possibile che ancora non lo accetti?' Per egoismo, per auto-amore sterile quanto distruttivo, per l'assurda convinzione di essere il mio dio, solo ed unico. Proprio di questo mi resi conto all'improvviso: di non aver ancora accettato Dio.
Mi resi conto che da qualche parte stavo piangendo. Avevo scelto di essere un Diya, ma non accettavo Dio: che significato poteva avere la mia vita allora? Non si sarebbe ridotta ad altro che una farsa tutta la strada che avevo imboccato?

Fu allora che sentii dei fili intrecciarsi sotto le lame e sotto le dita.
Li afferrai con decisione, sentendo al contempo il dolore e il piacere di un fluire nuovo, qualcosa di liberatorio, purificante.
Come se il troppo materiale dentro di me avesse trovato un vuoto in cui espandersi e il troppo vuoto in cui fluttuavo finalmente avesse potuto accogliere qualcosa in sè.
Non avrei mai trovato come accettare Dio ed affidarmi completamente a Lui, se non a piccoli passi, sciogliendo un vecchio legame per volta, abbandonando a Lui un pezzetto di me alla volta.

Senza più forze caddi a terra, con l'unico desiderio di abbandonarmi e chiudere gli occhi.
Le lame stavano ancora nel fianco.

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