
Per la prima volta indossavo le mie vesti ufficiali: abiti neri di fattura semplice, ornati unicamente dal cuoio delle due cinture e quasi completamente nascosti dall'ampio mantello che mi ricadeva dalle spalle. Il collo dritto degli abiti era di vaga foggia orientale.

Sorrisi con rabbia. Turisas mi conosceva nel vecchio piano, dove insieme vivevamo e serviviamo il nostro signore, ma non aveva ancora avuto modo di incontrami in questo, dopo la rinascita dalla montagna dei corvi. Non ci amavamo in precedenza e non ci amavamo ora.
L'operazione di connessione svolta con Hebe in mattinata mi aveva infuso energie ed emozioni forti, difficili da controllare. Ero di umore cupo, rabbioso: il malessere psicologico, originato dallo stress dei nuovi stimoli non ancora inseriti in una cornice emotiva riconoscibile, mi aveva portato un'elettricità fisica difficile da dominare, un'irrequietezza
litigiosa che Turisas avrebbe fatto meglio a non stuzzicare.
Quando nella sua filippica mi rimproverò la mancanza di energia e la mia incapacità di combattere (e per quanto riguarda il passato ammetto che aveva perfettamente ragione) la rabbia che avevo in corpo esplose. Balzai in piedi dal mio posto e lo avvicinai con decisione. La sua mole era quasi due volte la mia, ma sapevo bene che molti altri fattori diversi dalla mera forza fisica giocavano a mio favore. Sentii le lame allungarsi dalle mani mentre esclamavo: "Desideri misuare tu stesso le mie capacità?"
La sua espressione inizialmente fu sorpresa, poi per un secondo irosa, ma dopo un attimo ancora un sorriso scaltro gli distese i lineamenti. Si volse e riprese il suo posto tra le ombre ai bordi della sala, come se il mio intervento avesse detto quanto ancora restava da dire per rafforzare le sue argomentazioni.
Osservai i volti severi e preoccupati degli anziani del Cerchio e mi resi conto di aver commesso un grave errore. La prima e più importante regola per un Dyia recita: 'Esistono solo tre modi onorevoli per utilizzare la spada: non sfoderarla, mondare il proprio spirito, dar corso al volere di Dio'. Uno scatto d'ira nella sala del consiglio, armi in pugno, non era in elenco.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo. Le lame si ritraevano lentamente. Porsi le mie scuse al consiglio e ripresi il mio posto, sentendo che gli sguardi di tutti mi accompagnavano. Desiderai di poter nascondere le mani deformate dalle lame che loro fissavano, ma era giusto invece che rimanessero lì, esposte, a farmi provare vergogna. Così che ricordassi in futuro di riflettere prima di sfoderarle.
Uno degli anziani prese la parola e rispose garbatamente a Turisas che la decisione era stata presa solo dai membri del Cerchio, senza interpellare il consiglio, poichè inerente a questioni della più stretta attinenza all'equilibrio del piano, a cui loro erano inscindibilmente legati e di cui rispondevano direttamente.
I discorsi proseguirono su altri argomenti, ma ancora per diverso tempo non riuscii a concentrarmi su null'altro che le lame, che piano piano tornavano a sparire sotto la pelle.
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